Alberto Burri, la forma, la materia

Alberto Burri, la forma, la materia. La forza primordiale e lo spirito della bellezza pulsano nella materia: la creazione è in atto. Dal catrame alla muffa, dai sacchi di juta al legno, dal ferro al fuoco, il pittore della materia ridisegna l’essenzialità dello spazio e della forma. 
di Antonella Iozzo 

Burri, la forma, la materiaAlberto Burri, la forma, la materia. La forza primordiale e lo spirito della bellezza pulsano nella materia: la creazione è in atto, un’evoluzione alla quale Alberto Burri imprime l’espressività della forma. Dal catrame alla muffa, dai sacchi di juta al legno, dal ferro al fuoco, il pittore della materia ridisegna l’essenzialità dello spazio e della forma.La Triennale di Milano fino all’8 febbraio gli dedica una grande retrospettiva , quasi un risarcimento dopo che il suo “Teatro Continuo” la macchina scenica progettata dall’artista per il parco Sempione in occasione della Triennale del 1973, composta da sei quinte d’acciaio alte sei metri su un basamento di cemento di oltre dieci metri di lunghezza, non venne riconosciuta artisticamente e abbattuta nel 1989. Materia, sacrale energia che implode nelle mani di Burri, una tensione così forte che genera nell’espressività dell’azione artistica la vita ruvida della terra.

Cinquant’anni di sperimentazioni, cinquant’anni di materica essenza, di dignità all’esistenza ritrovata nei materiali poveri come i sacchi di juta, dove l’idea diviene materia, il colore tono e la voce dell’anima s’imprime come segno indelebile. Catrame, pietra pomice, polvere d’alluminio, segatura in un’orchestrazione condensata nella ritmica straordinaria e nel lirismo disarmante, un’armonica costruzione pittorica che si rinnova ad ogni sguardo. La bellezza della materia brucia in Burri e divampa silenziosamente da quando, dopo gli studi universitari di medicina, vive l’esperienza della seconda guerra mondiale che prima lo confina diciotto mesi in Tunisia prigioniero degli inglesi, poi altri diciotto mesi nel campo di prigionia americano di Hereford, nel Texas. E’ qui che Burri inizia a dipingere desolate e infuocate distese di terra, quella che vedeva al di là del recinto di detenzione.

Una pittura trasfigurata ben presto nel rilievo materico di un’intuizione improvvisa riversata sul supporto, nelle sue croste e nelle sue pieghe s’insinua il delirio della coscienza  provocando rimbalzi, scuciture, ferite, strappi, lacerazioni, torsioni di pensiero che dilaniano le fibre e aprono voragine nelle viscere della terra come nel profondo dell’uomo frantumato in polvere esistenziale alla deriva. Non sono lavori artistici sono creature che in un’esposizione raffinata, elegante, cronologica, curata e intimamente veritiera si concedono alla nostra sensibilità, sono collage, sono partiture che emanano l’orrore della guerra, sono sacchi sgocciolanti il sangue degli stermini.

Nelle Combustioni il fuoco diviene attrezzo espressivo ed ecco comparire plastiche bruciate su tela che creano quasi un effetto tridimensionale sullo spazio scenico della tela, mentre le lamiere traslucide si trasformano in lastre  opalescenti dal riverbero acceso. Su tutto sembrano predominare i cretti, misture di caolino e vinavil stesi sulla tela e lasciate ad essiccare per ottenere una superficie solida dove spaccature e crepe segnano l’orografia del tessuto connettivo, del senso e forse della ragione.

In mostra lo straordinario percorso del maestro, passando di sala in sala si rimane attratti dal “rumore” provocato dal ciclo dei Neri realizzato tra il 1986 e l’87, composto da dieci cellotex  mai esposti precedentemente in nessuna sede. L’Arte di Burri prescinde da qualsiasi interpretazione, è una visione pittorica che vive autonomamente rilasciando nello spettatore sensazioni ed emozioni, uguali e diversi, infinite e definite nello spazio interiore come nello spazio fisico di Architetture con cactus del 1991 costituito da dieci cellotex (1,30 x 2,50 m) presentato al pubblico nel 1992 ad Atene, ma mai sbarcato in Italia.

Le creazioni degli ultimi vent’anni dell’artista, sono suite nelle quali la tecnica è un accordo calibrato tra la bellezza e la forza della materia, come i cellotex con inserti di oro in foglia, un bagliore oltre la superficie della serie Nero e Oro del 1993, una luce che evidenzia le crepe scabre dei cretti nella serie Cretto Nero e Oro del 1994.

L’esposizione è una continua scoperta del poliedrico mondo  di Burri, ogni sala alza un sipario e quasi improvvisamente ci ritroviamo sul suo palcoscenico, Alberto Burri è stato, infatti, anche scenografo. Ed eccoci ad ammirare i bozzetti dei costumi e delle scene per Spirituals (1963), spettacolo che debutta a Milano alla Scala, ed ancora quelli per i costumi del balletto November steps (1972), prestati dal Teatro dell’opera di Roma ed i bozzetti del 1975 per il Tristano e Isotta di Wagner per il Regio di Torino.

Molte le foto in mostra che documentano attimi creativi, fasi produttive, opere compiute. Particolarmente suggestive quelle di Aurelio Amendola che ritrae Burri mentre lavora con la plastica. Trasparenza plastificata, fuoco, fiamma che brucia tra le mani, un’accensione dell’impeto vitale colta nell’attimo irripetibile dell’ispirazione, una combustione, un contatto all’ultimo respiro, un sublime struggente bacio con la materia.

Una mostra perfettamente in sintonia con lo spazio, un prolungamento dell’opera dentro lo spazio espositivo, un concetto in pieno rispetto con l’idea di Burri che le riservava la stessa attenzione rivolta allo spazio sul quale fisicamente dipingeva.

 
di Antonella Iozzo © Produzione riservata
          ( 28/12/2008 )

 

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