Verbier Festival Orchestra, Fröst, Weilerstein. The spirit of music

La Verbier Festival Orchestra diretta da Joshua Weilerstein ha eseguito un programma accattivante, reso ancora più coinvolgente dal clarinettista Martin Fröst. Attitudine jazz, anima contemporanea.

di Antonella Iozzo

Verbier (CH) – Verbier Festival Orchestra, Music, culture, magic, emotions, atmosfera, in una sola parola Verbier Festival. The spirit of music!

Il battito di una pulsazione che scandisce la passione di giovani musicisti in perfetta sintonia con i grandi maestri che con le loro esecuzioni scrivono la storia nel presente.

La Verbier Festival Orchestra è l’espressione tangibile di una realtà che esprime le forme musicali del domani nell’impegno e nel credo di giovani promesse.

Per la serata del 31  luglio scorso la Verbier Festival Orchestra diretta da Joshua Weilerstein ha eseguito un programma accattivante, reso ancora più coinvolgente dal clarinettista Martin Fröst.

Vitalità orchestrale che ci restituisce uno sguardo sul moderno con una superba interpretazione di “El Salón México” di Aaron Copland. Seduzione messicana che ha spinto Copland a comporre una partitura che diventa visione ed evocazione. Melodia messicana che dipinge a tinte decise un quadro capace di puntare dritto all’emozione. Il clarinetto, la tromba, il trombone, il fagotto, la tuba, il pianoforte, il güiro, il timbal, bassi e violini emergono singolarmente, quasi divenendo tutti solisti. Un tripudio che descrive perfettamente l’atmosfera de El Salón México, una sala da ballo di Città del Messico, che Coplan aveva visitato durante un viaggio in Messico per trovare il suo amico compositore e direttore Carlos Chávez. Coplan è letteralmente rapito dallo spirito del luogo tanto da scrivere una partitura con il nome della sala da ballo come titolo. La Verbier Festival Orchestra ne rilascia un’esecuzione enfatica, dove carisma e carattere messicano si intrecciano e si elevano in nastri di pura energia.

Attitudine jazz, anima contemporanea, che scivola nell’impatto fatale con la vibrazione cosmica della musica è il momento del clarinettista Martin Fröst che esegue, magistralmente, le “Preludia taneczne” di Witold Lutosławski. Una delle opere più popolari di Lutoslawski dalla quale trasuda grande tecnica.

Tutti e cinque i movimenti si basano sui ritmi di ballo folkloristici polacchi, ed è verve e intimità, soft romantico e tensione evolutiva. Dall’Allegro molto dove l’arpeggio del clarinetto scivola in una danza sospesa all’Andantino un gioco di equilibri tenuto dal tamburello.

La perfetta intesa tra Fröst e il direttore Weilerstein è puro magnetismo. Un energia esplosiva che ridefinisce tecnica ed eleganza.

L’Allegro giocoso ha un carattere intenso e dove passaggi veloci e virtuosismo si amalgamano in un’esecuzione di alto livello. L’orchestra ne segue il ritmo, il pathos, accompagna il clarinetto abbracciandolo ed elevandolo fino all’Andante che ne flette la semplicità sconcertante.

L’ultimo movimento, L’Allegro molto. Presto, è il più complesso e offre passaggi alternativi che contraddicono il ritmo dell’orchestra. Bagliori soffusi sembrano ricamare l’atmosfera folk, allegra, la felicità creativa ed insieme una sinergica propensione a lasciarsi sollecitare e sorprendere, sviluppando il piacere di assistere ad uno spettacolo dove la musica esprime l’anima e la cultura di un popolo, di un Paese.

Tecnica mirabolante, espressiva ed avvincente che continua con il “Concerto pour clarinette et orchestre” di Artie Shaw. Tra i fondatori del genere swing, innova il linguaggio musicale delle grandi orchestre jazz adottando l’uso degli archi, una strumentazione inedita per l’epoca ci troviamo nei primi decenni del 1900. C’è una nuova energia nell’aria, è come se un firmamento di stelle lasciasse cadere funambolici arpeggi, melodie, accordi. Boogie- woogie, e ancora swing che ci restituisce una profonda unità che nasce dal dialogo con i timbri dei fiati e gli archi.

Orchestra, direttore e solista sono impegnati in un interpretazione di rara vitalità, dove anche i tempi lenti sottolineano l’esuberanza e l’entusiasmo di questo incessante canto alla vita.

Se Fröst e brillante la direzione di Weilerstein è carica di perizia interpretativa e l’orchestra, audace e particolarmente spedita ci conduce verso la bellezza delle improvvisazioni e la delicatezza e dolcezza del suono di Artie Shaw, ricordato anche per essere stato il primo direttore d’orchestra statunitense bianco ad impiegare stabilmente nella sua band una cantante di origine afro-americana, la grande Billie Holiday.

Pirotecnica interpretazione di Martin Fröst che il pubblico continua a richiamare con lunghi applausi fino al bis. Un brano di Chick Corea, decisamente percussivo accompagnato da contrabbasso e da un percussionista. Contemporary jazz in puro virtuosismo che sfodera abilità e empatia musicale fra i musicisti.

La seconda parte è dedicata a Sergueï Prokofiev con “Roméo et Juliette op.64, extraits des trois suites pour orchestre”. Protagonista assoluta l’orchestra sotto la direzione di Joshua Weilerstein. Dinamiche di un emozione che diventa musica e viceversa, impressioni scolpite con la punta della bacchetta e lirismi che infiammano gli archi nel lascito dei fiati. Implosione di un attimo eterno che s’impone all’ascolto per il tagliente e prorompente vitalismo, in cui non mancano armonie politonali e ritmi quadrati.

Spettacolare interpretazione, un affresco sonoro di brillante sinfonismo che si libra dal gesto di Weilerstein, visibilmente coinvolto nell’intera esecuzione. La sua direzione e corpo e mente, anima e tecnica. L’orchestra ne segue i movimenti e ne percepisce il sentimento, è un continuum che genera sinergia seduttiva e sensitiva. Nel suo gesto energico e cordiale tutto il suono emerge guizzante e liberatorio. L’orchestra sembra ardere di ebbrezza e di memoria musicale, si avverte la forza propulsiva degli ottoni e dei legni, è una celebrazione di luce alla quale gli archi donano colore e respiro.

Una partitura di straordinaria intensità e di grande fantasia creativa alla quale la Verbier Festival Orchestra e la direzione di Joshua Weilerstein hanno saputo infondere un’inafferrabile senso poetico, suscitando nell’animo di ogni spettatore una danza di emozioni volteggianti il mistero della musica, nello imprinting unico e originale del Verbier Festival.

 

di Antonella Iozzo ©Riproduzione riservata
                  (05/08/2017)

Foto by Lucien Grandjean

 

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