Campigli Il Novecento antico

Il mistero è infatti protagonista nella vita di Campigli: solo in tempi relativamente recenti si è scoperto che era nato a Berlino e che il suo vero nome era Max Ihlenfeld.

Redazione

Campigli Il Novecento anticoMamiano di Traversetolo (Parma) – Donne, infinite donne, elegantissime, ingioiellate, eppure prigioniere; il mistero che si cela nell’arte di Massimo Campigli viene indagato in oltre ottanta opere, concesse da celebri musei e raccolte private, a documentare l’intero percorso dell’artista, dagli anni venti agli anni sessanta, quando le sue iconografie tipiche, figure femminili racchiuse in sagome arcaiche di grande suggestione simbolica, divengono esplicite meditazioni sull’archetipo femminile, sempre in equilibrio fra ingenuità e cultura, con una stilizzazione geometrica che rende personalissima la sua maniera. 

La mostra, cinque le sezioni: la stupenda ritrattistica, con le effigi di personalità del mondo della cultura, ma anche amici, signore belle e famose; la città delle donne, che accosta opere che rivelano l’ossessione per un mondo che pare tutto al femminile; le figure in sé prive di identità ma caratterizzate da scene di gioco, spettacolo, lavoro; i dialoghi muti, coppie vicine spazialmente ma incapaci di comunicare, prigioniere del proprio mistero; gli idoli, presentati nell’evoluzione dalle figure idolatriche tratte da Carrà negli anni venti a quelle di ispirazione primitiva che compaiono a partire dagli anni cinquanta. Di particolare interesse l’accostamento, per la prima volta in un’esposizione, delle quattro enormi tele che Campigli teneva nel proprio atelier. 

Massimo Campigli, , tedesco di nascita, italiano di formazione, parigino per cultura, egizio, etrusco, romano, mediterraneo per elezione, Campigli (Berlino, 1895 – Saint-Tropez, 1971) fu un personaggio colto ed europeo (parlava cinque lingue), inusuale nel nostro panorama artistico. Uomo solitario, nella sua pittura si intrecciano geometrie e magie, memorie e simboli (lesse Freud e Jung in lingua originale); fu anche scrittore raffinato e riservato.  

Per conoscere l’artista e la sua ossessione dell’immagine femminile bisogna entrare nella sua vita familiare. Il mistero è infatti protagonista nella vita di Campigli: solo in tempi relativamente recenti si è scoperto che era nato a Berlino e che il suo vero nome era Max Ihlenfeld. La madre, tedesca di appena diciotto anni, non era sposata; per evitare lo scandalo, il bambino viene portato in Italia, nella campagna fiorentina. La madre, che gli aveva dato il cognome, lo raggiunge saltuariamente; nel 1899 sposa un commerciante inglese e può prendere il bambino con sé, fingendo (per salvare le apparenze) di essere sua zia. A quattordici anni, Max scoprirà casualmente la verità. 

Questa vicenda familiare può spiegare, almeno da un punto di vista psicologico, il mondo espressivo dell’artista: il suo universo di donne quasi inconoscibili, immobili e insieme sfuggenti e distanti, è in definitiva una lunga meditazione sull’enigma femminino, sull’icona della Dea-Madre. Non uscirà più dalla dimensione infantile e permetterà alla sua immaginazione di prendere il sopravvento sulla realtà per rendergliela accettabile. Scrive infatti: “Non mi sono mai rifugiato nel sogno, nell’infantilismo, ci sono semplicemente rimasto, non ne sono mai uscito”.

 

Campigli il Nocevento antico
a cura di Stefano Roffi,
Dal 22 marzo al 29 giugno 2014
Villa dei Capolavori, sede della Fondazione Magnani Rocca a Mamiano di Traversetolo (Parma), –  www.magnanirocca.it
  
  Redazione
 ( 05-02-2014 )

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