Carrà,riavvio della pittura italiana

Così Longhi scoprì Carrà
Gli anni futuristi, dal 1900 al 1914, sono riletti qui in modo folgorante, dal divisionismo, prima pulviscolare poi turbinoso

di Ada Masoero

carrà-pino-sul-mareAlba (Cn) – Continua con la mostra di Carlo Carrà il sodalizio tra la Fondazione Ferrero di Alba e Maria Cristina Bandera, direttore della Fondazione Longhi di Firenze, che dopo Giorgio Morandi mette ora in scena l’altro artista contemporaneo prediletto da Roberto Longhi. Oltre alle vesti auliche di grande e temuto storico dell’arte, Longhi ( che proprio ad Alba era nato nel 1890) amava infatti indossare anche i panni del critico militante, più “moderni” e –forse- anche più stuzzicanti per lui, che era un ostinato polemista:basti pensare all’annosa querelle con de Chirico, da lui malignamente definito nel 1919 << dio ortopedico>> in virtù dell’<<umanità orrendamente mutilata>> della sua metafisica ferrarese.

Nell’affrontare l’opera di Morandi la curatrice aveva ritagliato l’ambito meno risaputo dei paesaggi;ora ha invece composto una mostra –esemplare per qualità delle opere e limpidezza di percorso – che di Carrà ( 1881 – 1966) rilegge l’intero itinerario. Dallo scoccare del ‘900 fino alla Seconda guerra mondiale Carrà visse infatti molte e discordanti stagioni, nessuna delle quali si poteva ignorare, essendosi lui mosso in ognuna da protagonista. E anche negli ultimi anni, seppure più raramente, aveva saputo conservare tracce di quella grandezza, come è provato qui dalla natura morta del 1966, dai toni argentei e perlati, rimasta su cavalletto alla sua morte.

Il percorso è dunque cronologico, a partire dal piccolo prezioso cartone “La strada di casa”,1900, in cui dà già prova di un’assoluta padronanza dei suoi mezzi e di una consapevole riflessione sul divisionismo di Segantini, con quel sole basso che sembra imprimere un moto rotatorio, cosmico, alla solitudine della modesta via di paese. L’ordinamento cronologico da solo non basterebbe però a rendere così leggibile il percorso se le opere non fossero state scelte ,una a una, in base a un rigoroso disegno progettuale; né, a un livello ulteriore di lettura, al mostra avrebbe lo stesso fascino se l’opera di Carrà non fosse mostrata attraverso il prisma dell’interpretazione longhiana, alla quale la curatrice si è attenuta fedelmente.

Già nella recensione per <<La Voce>> della << Prima esposizione di Pittura Futuristica>> nel Ridotto del Teatro Costanzi di Roma, nel 1913 ( c’erano Balla, Boccioni, Carrà, Russolo, Severini, Soffici), un Longhi poco più ventenne identificava in Carrà <<il pittore più dotato del gruppo>>. E Carrà, che era allora già famoso, lo ricambiò lodandolo con Papini, co-fondatore della rivista, e citandolo nei suoi interventi su testate autorevoli come << Valori Plastici>> e << L’Esprit Nouveau>>. Un bel viatico per il giovane studioso, che nel 1937, oramai cattedratico, scriverà per Carrà la monografia in cui affermerà che solo con lui, dopo le secche del nostro ‘800( Longhi lo aborriva) si era manifestato << il primo poderoso riavvio della pittura italiana>>.

Gli anni futuristi, dal 1900 al 1914, sono riletti qui in modo folgorante, dal divisionismo, prima pulviscolare poi turbinoso, delle sue vedute di una Milano notturna, alle scomposizioni dei due dipinti del Mart, fino alle opere segnate dalla conoscenza diretta del cubismo ( nel 1911 a Parigi), come il magnifico “La donna e l’assenzio,Ritmi di oggetti” o lo studio così architettonico della “Galleria di Milano”.

La virata è però dietro l’angolo: in dissidio con Boccioni e Marinetti, dal 1914 Carrà svolge le spalle al turbinio futurista e va in cerca di nuovi valori: i << valori puri>> della nostra tradizione. Poche, scelte opere documentano questa sua breve fase <<primitiva>>, <<antigraziosa>>, in cui guarda a Giotto e al Doganiere Rousseau. Longhi non amava troppo questi dipinti scabri, che aprono tuttavia la strada alla grande stagione metafisica, avviata da Carrà nel 1917 a Ferrara, dove incontra de Chirico ( e de Pisis).

Di qui in poi l’affinità tra Carrà e Longhi si fa sempre più stretta: le opere in mostra, tutte splendide, provano la speciale natura, << di grana lombarda>> della sua metafisica. Ma e è il setto che chiude questa sezione il punto forse più alto della mostra, con due opere meravigliose del tempo di << Valori Plastici>> come “Le figlie di Loth”,1919, e il “Pino sul mare”, 1921, del quale Longhi ha lasciato la lettura più emozionante fra le moltissime che, in Italia e fuori, lo hanno celebrato. Nasce di qui – ma dopo una nuova svolta “ naturalista” – il Carrà << paesista non mai veduto>>, per il quale Longhi chiama in causa Cézanne e Seurat ma anche Giotto, Carpaccio e l’ultimo Tiziano.
Sono molte in questi anni 20, le opere bellissime, struggenti , da “Sera sul lago” a “L’attesa”, a “Meriggio”. Altri dipinti importanti punteggiano gli anni 30, quando rimette spesso in gioco la figura, e anche il decennio successivo: come “Libeccia” che – suggerisce la curatrice – guarda alla “Fontana della giovinezza” di Cranach, un maestro non a caso citato poco prima da Longhi in una sua famosa conferenza.

(Carrà,Fondazione Ferrero – Alba(Cn) fino al 27 gennaio 2013 – www.fondazioneferrero.it )

di Ada Masoero
Da IlSole24 Ore
(05.01.2013)

Immagine: Pino sul mare, 1921, olio su tela, cm 68 x 52, Collezione privata

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