Justin Peyser

Il metallo è la mia nuova tela.
Si stira, si piega, prende colore, e o assorbe o riflette la luce

Justin_Peyser_Justin Peyser in soluzione di continuità sulle ali del tempo, fonde emozione e ragione in sculture dalle forme sinuose che evidenziano le potenzialità del metallo. Riflessi di luce adagiati sull’acqua del mare veneziano per la sua mostra in corso presso Palazzo Zenobio. Suggestioni site specific da scoprire da vivo fino al 21 novembre, da gustare tra le parole dell’artista.

Dalla pittura alla scultura. Ricerca, evoluzione o sperimentazione?
Tutte e tre giocano un ruolo. E’ successo che ai primi del 2000, il mio disegnare e il mio dipingere hanno cominciato a richiedere di necessità, quasi a supplicare, la presenza della terza dimensione. Direi che il denominatore comune è sempre il fare pittura, l’interesse per l’immagine. Ma, grazie all’introduzione e all’uso (tecnico) diretto del metallo, la terza dimensione è ora in gioco anche se non in modo evolutivo o lineare.

Cosa stava cercando, cosa ha trovato, cosa ha lasciato?
Cosí come con la storia, penso che non lasciamo mai il passato dietro di noi, è sempre presente. Per quanto riguarda ciò che cerco e ciò che ho trovato, la risposta nel senso più generale, sta nel modo in cui lavoro, nella pratica del mio lavoro. Ho trovato la possibilità di sondare il mio lato emotivo e il mio lato razionale in un processo semi-consapevole che mi permette di ideare un soggetto, studiarlo, e quindi dargli forma nel medium scelto. Tutto ciò è entusiasmante perchè all’inizio non so mai quale sarà la mia destinazione finale.

Si può parlare di sensibilità comunicativa delle sue sculture?
La sfida è quella di andare al di là dell’idea . Con il lavoro di questi ultimi anni, mi sono reso conto che ci si confronta con una tradizione millenaria di opere in metallo, in cui ogni tecnica comunica qualcosa di particolare della propria epoca. Ad esempio, ogni scelta di assemblaggio è carica di connotazioni storiche, sia essa quella della inchiodatura o saldatura o giuntura. L’acciaio stesso si carica di significati diversi, dall’età del ferro a quella medioevale fino alle sculture saldate del XX secolo. E’ una grande tradizione che mi rende umile. Un periodo che mi interessa è quello dell’Estetica della Macchina, ma il mio approccio non è formalistico nel senso in cui lo era ad esempio quello dei pittori del Precisionismo Americano come Charles Sheeler. Senz’altro posso evocare dei macchinari (vedi Mashrabiya come carillon, oppure Flat Screen TV, o Projection), ma il senso è piuttosto quello di un riferimento semiotico che può suggerire macchine, o produzione di massa ma solo come punto di partenza; dopo tutto, non produco apparecchiature di nessun tipo. Ciò che trovo stimolante e mi mette alla prova e’ la potenzialita’ espressiva del metallo.

Cosa vuole trasmettere attraverso di esse?
Il mio lavoro è il mio segno (nella vita). Un po’ come camminare sulla spiaggia, notare le proprie orme sulla sabbia e cambiare direzione per rincorrere le impronte e le forme diverse che si possono creare (per poi vederle subito sparire nella risacca). Ciò che questo comunica è più implicito che esplicito, e in ciò risiede il mistero.

Spazi urbani, luoghi dell’anima, ambienti interni, come vengono vissuti dall’opera scultorea?
Sono sempre stato interessato all’intersezione tra centro, margine e periferia, sia che camminassi, guidassi o volassi. E sono affascinato dai tipi diversi di paesaggi costruiti e de-costruiti, il che può voler dire, ad esempio, dai modelli di uso e pianificazione del territorio—segni di densità o segni di disuso. Come tale, l’uso intenso del territorio si traduce nella scultura nel sovrapporsi concentrato del materiale o nell’interdipendenza delle forme.

Opere soprattutto in acciaio, perché?
Il metallo è la mia nuova tela. Si stira, si piega, prende colore, e o assorbe o riflette la luce. E’ duro ma fragile, se forzato. Può essere caldo o freddo. Trasmette l’idea dell’armatura, delle maschere, del macchinario. Lo lavoro direttamente, per assemblaggio piuttosto che colandolo. Mi piacciono tutte queste possibilità.

La lucentezza dell’acciaio rivela la poesia della foma?
Amo l’architettura e da giovane volevo diventare architetto. Lo scintillio del metallo può essere smorzato e alternato alla sua lucentezza cosí da creare una matrice, un intreccio. Le qualità di riflettività e assorbimento della luce aiutano a delineare gli strati a cui sono interessato. In architettura si chiama ‘finestratura.’

Cosa rappresenta per Lei la mostra a Venezia presso Palazzo Zenobio?
L’occasione di fare la mia prima installazione ‘site specific’ a Ca’ Zenobio mi ha offerto la possibilità di essere coinvolto con l’architettura—un sogno diventato realtà. Mi piace lavorare in un contesto cosí ricco di significati, e spero di poterlo fare di nuovo.

Venezia, città adagiata sul mare. L’acqua, il Salone degli Specchi di Ca’ Zenobio e le sculture di Peyser cosa hanno in comune?
Penso che la leggerezza di Venezia e il Palazzo mi abbiano portato ad essere più esuberante. La mia reazione iniziale al Salone degli Specchi fu quella di contrastare la riflettività barocca della sala con qualcosa di massiccio ed opaco. Ma, al contrario, la fragilità dell’ambiente ha avuto la meglio, e le mie sculture sono diventate vascelli vuoti che beccheggiano come barche in un mare interiore.

Cosa le deve trasmettere un luogo per poter poi creare opere  “site specific” ?
Per l’appunto questa è stata la mia prima installazione ‘site specific’ e dunque è difficile generalizzare sulle condizioni ideali. Il barocco della Sala degli Specchi è cosí (deliberato) che è difficile non avere una reazione, è come avere a che fare con una persona molto carismatica. Immagino che dopo questa esperienza un posto con una forte personalità sia sempre preferibile, altrimenti ci si ritrova con l’ambiente tipico da ‘scatola bianca’ di galleria, che richiede un trattamento diverso e più autonomo.

Qual è la differenza sostanziale tra il panorama artistico italiano e quello americano?
Non credo di essere in grado di generalizzare sulle differenze tra i due paesi per quanto riguarda la produzione artistica. Mi chiedo se in questo mondo cosí piccolo l’identità e l’esperienza nazionale abbiano ancora valore e funzione. C’è qualcosa nel mio lavoro che è necessariamente americano perché è prodotto in America? Il mio istinto mi dice che in un mondo che diventa sempre più omogeneo–ed è una tendenza non sempre negativa: si pensi per esempio ai diritti umani—l’artista può svolgere un ruolo importante nel mantenere la diversità. Vorrei anche aggiungere che l’Italia e l’America, e in realtà, da questo punto di vista, tutto l’Occidente, sono storicamente ad un crocevia, in termini di auto-percezione, ruoli, realtà sociali, economie. E questo è un tema attuale anche per gli artisti.

E se parliamo di mercato dell’arte?
Di nuovo, non conosco il mercato dell’arte cosí bene da poter generalizzare. Attualmente, il denaro circola piuttosto liberamente nel mondo. Molti settori tendono ad una maggiore trasparenza, il che è intrinsecamente utile anche per gli amanti dell’arte. D’altronde, ciò che ho imparato in ben altri tipi di lavoro è che malgrado il cosiddetto ‘restringimento’ mondiale come conseguenza della globalizzazione, esperienze e scambi significativi sono ancora operanti a livello locale, e per fortuna includono molta soggetività individuale.

Sculture come estensioni del suo pensiero o come interpretazioni del pensiero sociale?
Quando lavoravo nel settore dello sviluppo e del finanziamento dell’edilizia pubblica, pensavo che architettura ed arte fossero necessariamente subordinate all’esigenza di riabilitare edifici dilapidati e creare ‘unità’ di abitazione accessibili a coloro che non erano in grado di trovare abitazioni decenti ed economiche. Oggi non sono più cosí sicuro di quella formulazione. Certamente il decoro dell’abitazione è vitale, ma i nostri habitat siamo ‘noi’, e perciò possono e devono riflettere le nostre aspirazioni e i nostri bisogni estetici più profondi (James Baldwin scrisse eloquentemente su questo contro la bruttezza delle case popolari federali di Harlem). E’ difficile credere che dall’inizio del ‘900 fino alla fine degli anni ’20, ci sia stato negli Stati Uniti un movimento chiamato “City Beautiful Movement.” Io spero che il mio lavoro di scultore mi porti di nuovo nell’arena pubblica dove posso interagire con l’architettura e partecipare alla creazione di piazza e luoghi più belli.

Quali sono le sonorità delle sue opere?
Le mie sculture fischiano con la luce che le attraversa. 

Una melodia che conduce dove?
La melodia guida attraverso gli strati del mio lavoro.

La scultura in tre aggettivi
Topografica, protettiva, avvolgente.
Vorrei infine ringraziarLa per l’opportunità di esprimermi sulle pagine di BluArte

di Antonella Iozzo © Produzione riservata
(22.06.2010)

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