A Zeffirelli il Grifo d’Oro

A Carlo Felice Pagliacci   A Zeffirelli il Grifo d’Oro

 Pagliacci

Genova Oggi  sarà una serata speciale per Genova: al Carlo Felice, ore 20.30, debutta Pagliacci. Lo spettacolo, diretto da Franco Zeffirelli, inaugura la stagione d’opera 2011 del Teatro.  «Questa produzione di Pagliacci mi è particolarmente cara. È nata dal mio desiderio di cercare una chiave di lettura contemporanea di quel capolavoro dell’opera italiana dell’Ottocento. Sono sicuro che la mia chiave di lettura desterà molto interesse nel mio fedele pubblico», ha spiegato Zeffirelli.  

Dopo lo spettacolo, la sindaco Marta Vincenzi consegnerà a Zeffirelli il Grifo d’Oro, massimo tributo che il Comune di Genova offre a chi si è distinto per il proprio contributo nei vari settori delle arti e delle scienze. 
Ma non è finita qui: sempre martedì 5 aprile, alle 17.00, si può assistere tra la fontana di piazza De Ferrari e Palazzo Ducale al montaggio della mongolfiera messa a disposizione dall’Aeoroclub Mongolfiere di Mondovì, che dalle ore 18.30 alle 20.30 effettuerà un volo frenato.
Successivamente all’interno del teatro verrà anche inaugurato lo spazio gadget Work Line.   

Le repliche di Pagliacci
Gio 7.4.11 – (G) 15.30

Ven 8.4.11 – (B) 20.30
Sab 9.4.11 – (F) 15.30
Dom 10.4.11 – (C) 15.30
Mar 12.4.11 – (L) 20.30
Ven 15.4.11 – (F.A.) 20.30
Dom 17.4.11 – (R) 15.30

Pagliacci: la trama
Siamo nel 1865, nel torrido ferragosto calabrese, in un paesino dove giunge una colorita compagnia di commedianti. Il capocomico è Canio, che nelle commedie ha il ruolo di Pagliaccio. Lo accompagnano sua moglie Nedda, attrice che interpreta Colombina, e altri due attori: Tonio, un gobbo che fa la parte del servo sciocco Taddeo, e Peppe che è Arlecchino. Al posto dell’ouverture, un personaggio simbolico appare sulla scena: è il Prologo (in realtà è Tonio), e spiega agli spettatori che il dramma che si rappresenterà è tratto dalla realtà e li invita a riflettere sull’anima dei commedianti al di là della finzione scenica.

Tonio annuncia che «l’autore ha cercato pingervi uno squarcio di vita» scrivendo questa storia in cui «vedrete amar siccome s’amano gli esseri umani», «uomini di carne e d’ossa» (non più fantasmi letterari del melodramma romantico). Poi s’apre il sipario. Mentre i contadini festanti circondano la carretta che trasporta la sgangherata compagnia, Canio,  percuotendo una grancassa, annuncia che lo spettacolo avrà luogo alle ore 23 (in effetti le “23 ore” del libretto sono le 5 del pomeriggio, nelle realtà contadine del tempo si seguiva una scansione della giornata basata sui momenti canonici della preghiera: la fine della giornata, segnata dalla preghiera del vespero, corrispondeva alle nostre attuali 18.00). Tonio intanto fa il galante con Nedda, e Canio – gelosissimo della giovane moglie da lui raccolta orfana sulla strada – gli dà un ceffone.

Alcuni contadini invitano allora Peppe e Canio ad andare con loro all’osteria, e prendono in giro quest’ultimo per la sua gelosia. Lui risponde che non esiterebbe ad uccidere Nedda se lei gli fosse infedele. Mentre gli abitanti del paesino vanno in chiesa, Nedda resta sola. È preoccupata ed inquieta: ama segretamente Silvio, un giovane del paese. Si avvicina Tonio, che la importuna nuovamente. Nedda ride della sua gobba, e poi, afferrata una frusta, lo colpisce sul viso. Tonio, giurando di vendicarsi, si allontana, mentre arriva Silvio che la convince a fuggire con lui durante la notte, dopo lo spettacolo. Ma Tonio ha ascoltato tutto di nascosto e va ad avvertire Canio, che sopraggiunge… Silvio riesce a fuggire. Il marito affronta allora Nedda e, la minaccia e le impone di rivelare il nome dell’amante. Nedda rifiuta, Canio sta per ucciderla, ma Peppe riesce a fermarlo, lo calma e lo convince a prepararsi visto che lo spettacolo deve cominciare. I commedianti entrano nel teatrino, mentre Canio è sconvolto al pensiero di dover far ridere il pubblico in un momento in cui è in preda alla disperazione. Il pubblico, compreso Silvio, comincia ad affollare il teatrino. Ecco Nedda che, negli abiti di Colombina, gira fra il pubblico col piatto per incassare il costo del biglietto; si avvicina anche a Silvio e gli rinnova l’impegno per la fuga.

Finalmente si alza il sipario. La commedia non fa altro che rappresentare quanto è realmente successo nella prima parte dell’opera: Colombina (Nedda) passeggia nervosamente in attesa dell’amante, Arlecchino (Peppe). Sente che canta una tenera serenata, ma non può farlo entrare fino a quando non è sicura che lo sposo Pagliaccio (Canio) sia lontano. Entra il servo Taddeo (Tonio) che porta un pollo e fa grottesche profferte amorose a Colombina. Lei, appena saputo che Pagliaccio è lontano, fa entrare Arlecchino, il quale prende a calci Taddeo cacciandolo via. I due amanti progettano di fuggire insieme.

Improvvisamente torna Taddeo, annunciando con urla che Pagliaccio sta tornando, schiumante di rabbia. Poi si nasconde, mentre il pubblico si diverte e ride. Arlecchino scappa dalla finestra. Pagliaccio entra furioso, aggredisce Colombina chiedendole il nome dell’amante. Canio, ormai impazzito per la gelosia che realmente prova, dimentica la finzione della commedia e minaccia di uccidere con un coltello Nedda se non svela il nome dell’amante. Il pubblico è affascinato da una recitazione così realistica, ma Silvio sospetta che non si tratti più di finzione e tenta di salire sul palco, mentre Canio colpisce a morte Nedda malgrado lei tenti di fuggire. Canio fa anche in tempo ad uccidere l’amante della moglie. Alcuni spettatori salgono sul palco e bloccano Canio, che lascia cadere il coltello ed esclama disperato: «la commedia è finita!».

(da www.carlofelice.it)  
     (05.04.2011)

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