Al Petruzzelli l’Otello di Nekrosius

L’antinaturalismo del regista lituano trova una speciale sintonia con quel radicale manifesto contro il realismo che è il libretto di Boito.
La grammatica cifrata di Nekrosius interpreta alla perfezione i significati di un declamato verdiano tanto intriso di letterarietà  
di Andrea Estero  

Petruzzelli Otello verdiBari – Bella inaugurazione di stagione al Petruzzelli. Non che negli ultimi anni non si fossero visti allestimenti frutto di un analogo impegno produttivo;o che l’orchestra di giovani bravi e precari suonasse peggio di questa,nuova e “ a tempo indeterminato”. Un bel segnale arriva anche dalla nomina di Daniele Rustioni, talento trentenne, a direttore musicale;ma non si può dimenticare che prima capitava di vedere sul podio anche un maestro come Lorin Maazel.
La nuova gestione del commissario Carlo Fuortes, in ogni caso, punta sulla continuità di direttori, di contratti, di identità artistiche. La stagione appena iniziata,per esempio, chiama sei “registri-autori” per altrettante nuove produzioni Nekrosius,Ronconi,Livermore,Emma Dante, Krief, Barberio Corsetti. Per scelta e convinzione. O anche grazie a nuove risorse e disponibilità?

Così  l’Otello del Verdi bicentaneraio lo mette in scena uno shakespeariano come Nekrosius. Con gesti, scene,”attrezzi” del suo mondo archetipico e fiabesco. Una pedana tondeggiante e reclinata è la piazza, gli alti paraventi il castello. Quando si aprono, bastano tre termosifoni ad alludere alle stanze del palazzo. I sacchi di iuta rappresentano il potere, la “robba”. E i personaggi si accalcano, agitano e poi si fronteggiano con una gestualità fatta di codici astratti, quasi segnaletica. Da teatro “primordiale”. Se l’antinaturalismo è cifra consolidata del registra lituano, qui trova una speciale sintonia con quel radicale manifesto contro il realismo ( fuori tempo massimo, purtroppo) che è il libretto di Boito: i giochi verbali e le iperboli intrise d’arcaismi “corrispondono” alla fantasiosa e irreale gestualità d’attore.

La grammatica cifrata di Nekrosius interpreta alla perfezione i significati di un declamato verdiano tanto intriso di letterarietà ( su tutti il Credo cantato da Jago sulla poltrona, rannicchiato: simbolo di sete di potere e insieme d’insicurezza), ma costruisce solo di rado percorsi narrativi più ampi: come quando la Desdemona felice sbatte le sue grandi ali da colomba, che poi nella scena finale servono da bara, dove trova posto anche Otello. E’ il momento più intenso dello spettacolo. Il rapporto tra Otello e Jago, per contro, è meno definito nei suoi sviluppi interni. Il Moro è ormai sottomesso, ma poi nella scena successiva maltratta e scaraventa per terra il suo nuovo capitano…

L’alata “partitura” visiva si riflette comunque in quella musicale: in uno Jago, Claudio Sgura, più insinuante che tonitruante, ma non per questo meno “nero2. E in una Desdemona, Julianna di Giacomo, di bel timbro e sensibilità musicale, ma dalla parola poco scavata. Alla loro solidità vocale si contrappone invece la precarietà dell’Otello di Clinton Forbis, squillante e potente negli acuti ragiunti con sforzo, sotto i quali si scoprono però suoni incerti, disordinati,”vuoti”. A riequilibrare l’insieme ci sono le voci di Francisco Corujio (Cassio) e Roberto Abbondanza ( Montano, seconde parti di lusso. Kery – Lynn Wilson, sul podio, si apprezza più per quello che non fa: le esplorazioni sonore, le impennate veementi che odorano di verismo. Ma poi il suo gesto è monotono, il passo uniforme, “ non fa teatro”. Né svela la proteiforme ricchezza di un’orchestra che Verdi concepisce come controparte strumentale del testo. E che i giovani avrebbero avuto piglio e mezzi per rendere viva.
 
di Andrea Estero
ClassicaVoice 

   Redazione

(04.03.2013)
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