Enrico Rava


ENRICO RAVA. Cerco sempre di raccontare qualcosa quando suono.

enricoravaQuando ascoltando il suono jazz della tromba, avvertiamo una sensuale vibrante implosione timbrica e cromatica nella modulazione del respiro, vi è una sola certezza: quel suono è il suono del trombettista Enrico Rava, uno dei più celebri musicisti jazz al mondo. Dialogare con il maestro  è un’esperienza intorno al jazz.
Come nasce e come si sviluppa lo spettacolo “Requiem per Chris” in programma a Pergine Spettacolo Aperto, su soggetto di Andrea Camilleri?
Era nato come documentario, strada facendo si è trasformato in un nuar ma i costi erano troppi alti, con Camilleri ci dovevamo muovere continuamente in giro per il mondo, ad iniziare da   New Orleans, ed alla fine non si è fatto più nulla. Di questa storia, comunque esisteva un bozzetto ed a un certo punto qualcuno ci ha proposto di realizzare uno spettacolo, “Requiem per Chris”.

Porterà in tournee questo spettacolo?
No, ci saranno solo due, tre rappresentazioni. È uno spettacolo con dei tempi   abbastanza preordinati , riproporlo per molte sere diventerebbe semplice ripetizione, routine. Sono jazzista, suonare  mi diverte, ogni concerto, ogni serata jazz è diversa dalla precedente, in questo caso, invece, devo seguire delle cose ben precise, mi piace farlo, ma poche volte.

Anima, musica, cuore, cosa conta di più per Lei?
Ma … conta il cuore, perché con il cuore si fa la musica più bella.    Anima e cuore sono la stessa cosa…. non saprei dare una definizione di anima.

Cosa sarebbe la sua vita senza la musica?
Forse non ci sarebbe, penso che la musica mi abbia salvato. Ero destinato a fare un lavoro che non mi piaceva nell’azienda di famiglia, forse avrei fatto un tuffo dal balcone perché, neanche lontanamente riuscivo ad immaginare una vita così, per fortuna … la musica. Suonavo da dilettante, per divertimento, poi un po’ alla volta hanno iniziato a chiamarmi “quelli bravi”, il mio destino finalmente era cambiato, il mio lavoro era cambiato, avevo la musica, avevo cominciato a vivere di musica, la depressione rimaneva un ricordo. Ho molta riconoscenza per la musica e in particolare per il jazz, mi ha fatto vivere una bella vita che altrimenti non avrei vissuto.

Nel jazz , a differenza della classica, improvvisazione, esecuzione e creazione coincidono in un unico atto complesso. Molti pensano che chi compone crea musica in riposo piuttosto che in movimento, condivide?
Sono modi diversi di fare musica. La nostra parte compositiva fornisce dei canovacci, su cui poi s’improvvisa, la composizione occupa un buon trenta per cento di un’esecuzione  il resto è improvvisazione che però è sempre in relazione alla composizione

Se  dico Bollani , cosa mi risponde?
Grande pianista e grande amico

E se  dico America?
Oggi le dico nostalgia perché io ci ho vissuto molti anni. Quando sono rientrato in Italia ero ben contento di farlo perché ne sentivo la necessità, oggi se non fosse perché non ho più voglia di cambiare ancora una volta, ritornerei a New York, penso che sia una città meravigliosa, dove si sta benissimo, dove tutto è semplificato, dove la burocrazia non rende la vita infernale.
In Italia, attualmente, da punto di vista musicale, c’è un’attività jazzistica, molto fervida. Non c’è città, cittadina o paese che non abbia il suo festival e la sua stagione concertistica. Il Jazz in Italia è presente più di qualsiasi altro paese d’Europa.   In questi ultimi anni l’attività concertistica, per quanto riguarda il jazz, si è ampliata in un modo inaspettato niente a che vedere con quando ero giovane io. Molti fra cui gli americani ci considerano una nazione guida per il jazz, da qualche anno siamo un punto di riferimento.

Jazz e action painting due arti con la struttura molto simile, una musica che si costruisce suonando, una pittura in cui il colore cammina seguendone il ritmo. Il ritmo del jazz può continuare a vivere nel dinamismo visivo della pittura?
Tutto è possibile, ma l’action painting non mi appassiona particolarmente. Non trovo grande interesse per qualcuno che dipinge mentre sto suonando tentando di seguire la mia stessa ispirazione. Credo che solo rarissimamente si possa creare un’opera importante in questo modo. 
Amo la pittura, frequento, lavoro ed ho lavorato con molti artisti visivi per esempio con Michelangelo Pistoletto, siamo stati per un mese insieme in America, ad Atlanta, per un workshop, ha realizzato la copertina di un mio disco, abbiamo creato spettacoli insieme, ma non abbiamo mai fatto dell’action painting perché mi sembra una forzatura. Ci sono dei momenti per dipingere, che sono propri, e ci sono dei momenti per suonare. La musica, ha una propria struttura organizzativa da seguire. Lo stesso discorso vale per la scrittura jazz , gli scrittori della “bit generation” saranno pure dei bravi scrittori, magari parlano di jazz, ma con il jazz hanno poco a che fare, è molto più jazzista uno scrittore che apparentemente non c’entra niente come Proust  perché ha un meccanismo molto simile a quello dell’improvvisazione jazzistica, si rifà ai frammenti di memoria, alle concatenazioni di idee, questo è esattamente quello che succede quando si suona jazz

Azione, improvvisazione, libertà, movimento. Sono le caratteristiche che scandiscono anche la sua vita personale?
Libertà quella mentale, perché fisicamente in realtà ne ho pochissimo, causa i numerosi impegni che questo lavoro comporta, viaggi continui, città fantasma perché non vivi, non vedi, la sera il concerto il mattino di nuovo in viaggio, solo quando mi accompagna mia moglie mi fermo più giorni, e riesco ad abbinare al lavoro il piacere di visitare qualche mostra, qualche galleria, ne sono molto contento, mi arricchisce, sento di aver speso bene il mio tempo.
Movimento anche troppo. E’ l’impegno fisico ha creare movimento, da giovani è piacevole, divertente, ma ad un certo punto diventa un peso insopportabile, ma poi si va a suonare. Adoro suonare, mi piace ancora suonare, adesso mi piace più di prima. Il sacrificio viene ricompensato dal piacere liberatorio della musica, dal contatto con il pubblico, dal narcisismo del musicista, è inutile nasconderlo chiunque si esibisce ha una dose di narcisismo. 

Cosa bisogna sentire perché nasca un’improvvisazione danzante?
E’ come quando si parla, improvvisare non è diverso dal dialogare con qualcuno, anche adesso sto improvvisando con lei. Se sto bene, se sono informa il dialogo fluisce liberamente, ed è la stessa cosa quando si suona, se sento un’ottima acustica, se sento il mio suono così come voglio che sia, se sento il mio suono intimo, il suono dell’anima o del cuore, a quel punto riesco a esprimermi, a parlare, a dialogare con la musica. Cerco sempre di raccontare qualcosa quando suono.

Prossimi progetti?
Una piccola tournee in omaggio a Chet Baker per il ventennale della sua morte, poi una serie di concerti estivi ed il Brasile fra tre mesi. Intanto, ad ottobre esce il mio nuovo Cd  “New York Day”, inciso a febbraio  a New York con musicisti americani, l’unico italiano, Bollani, poi, per la promozione del disco faremo una tournee europea.
Il prossimo anno ci sarà un compleanno molto importante per me, compierò 70 anni, gli organizzatori hanno molti progetti, spettacoli, concerti, serate per un anno evento, ma io mi sento ancora adolescente, 70 anni di musica con il cuore da adolescente.

di Antonella Iozzo © Riproduzione riservata
                         (11/07/2008)

Articolo correalto: Rava. Requiem per Chris
 

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