Pagliacci

 


Pagliacci di Ruggero Leoncavallo

Regia di Franco Zeffirelli

Il circo della vita: finzione o realtà? Giù la maschera 

Pagliacci Teatro Filamornico VeronaVerona-Sul palcoscenico della vita la teatralità delle passioni umane intreccia sentimenti, provoca tensioni, raggruma anima e sangue in esistenza quotidiana. Verità che celano l’inganno e viceversa: giù la maschera è in scena, al Teatro Filarmonico di Verona, fino al 5 febbraio Pagliacci, pagina del verismo lirico, che da sempre affascina ed entusiasma il pubblico.

L’opera di Ruggero Leoncavallo è ispirata da un efferato omicidio realmente accaduto nel comune calabrese di Montalto Uffugo, dove nella notte tra il 4 e il 5 marzo 1865, il giovane Gaetano Scavello, che lavorava come domestico presso casa Leoncavallo, venne ucciso dai due fratelli D’Alessandro. Vendetta di un affronto divenuta nelle mani di Leoncavallo delitto d’onore e un amore reciso (quello tra Nedda e Silvio) nel giorno della maggiore festa popolana di Montalto, quella dell’Assunzione.

Sulla ribalta, a sipario chiuso Tonio, il baritono Alberto Mastromarino in veste di Prologo preannuncia la rappresentazione della verità non illusione, quindi, ma bruciante anelito di vita che scandaglia emozioni procurando sconcertanti reazioni. Voce calda e verve disegnano il personaggio, imprigionato in un corpo sgraziato, dolore che a volte non tocca l’apice dell’interpretazione.

Nel celebre allestimento curato da Franco Zeffirelli finzione e realtà, scena e vita, l’antitesi che unisce in una squisita sensibilità.  La scena , all’apertura del sipario è imponente, riempie tutto il campo visivo. L’anima di un tipico paese viene espressa dal “Bar Centrale”, dall’officina e da un palazzo di tre piani, con ballatoio e diversi interni dove la vita sussulta: donne che stirano, panni stesi, operai, giocatori di carte, prostitute che danzano, televisori accesi. Per strada la folla festosa muovendosi allegra attraversa l’intero palco e accompagna novelli sposi alla ricerca di qualche foto pittoresca. Un dinamismo reso folgorante da acrobati, saltimbanchi, giocolieri e pagliacci che giungono con la loro roulotte.

Una festa di colori, una favola dalle magiche sfumature che cattura lo sguardo continuamente in movimento su tutto il palcoscenico, vero scrigno stracolmo di fervida immaginazione.
In questa effervescenza scenografica Nedda /Amarilli Nizza, sognante ed elegante affascina per le movenze e la disinvoltura, ma il timbro sembra essere più concentrato sulla tecnica che sull’interpretazione, che si rianima nei duetti con Silvio/Devid Cecconi dalla significativa presenza scenica, è l’unico momento dove la scena si svuota. Coerenza interpretativa per Canio/Rubens Pelizzari,ma poco passionale, focosa, incline alla disperazione alla quale in genere si è abituati nel “Vesti la giubba”, qui più trattenuta.

Nel secondo atto manifesti calono dall’alto e la magia dei saltimbanchi ha inizio: Nedda strappa sorrisi e risi con un tavolo che scompare e riappare, inghiottito da una botola della scena, mentre pagliacci e giocolieri intrattengono il pubblico durante il corteggiamento di Arlecchino a Colombina, che diventa improvvisamente quella “vera” tra Canio e Nedda. Coinvolgente la presenza del tenore Paolo Antognetti / Peppe/Arlecchino che appare vivace e sicuro nell’interpretazione. La chiusa dello spettacolo è elegante e coerente con la scelta di attualizzare la vicenda. Dopo aver colpito a morte Silvio, Canio stringe a sé il corpo esanime di Nedda, tutto sembra fermarsi. Attimo raggelato, sospensione del respiro e Tonio chiude l’Opera con il celebre “La commedia è finita” il dramma rimane negli occhi, nei visi,nei corpi che come anime pie inseguono l’ombra del destino che verrà. 

L’orchestra dell’Arena di Verona descrive, narra, sottolinea con lucida padronanza tecnica – interpretativa, il direttore Julian Kovatchev, dal gesto sicuro, preciso, ritmico si eleva folgorante accompagnando il suono nella sua interezza.
Il coro dell’Arena di Verona, nella gestualità, nei movimenti nella sua interezza vocale esalta, l’azione nel sincronismo e nel fervore pulsante la complessità dei sentimenti nel viverli fuori la commedia.

di Antonella Iozzo
© Produzione riservata
   (29.01.2012)

Immagine: Fondazione Arena di Verona – Foto Ennevi

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