Rigoletto, conturbanti situazioni al Filarmonico di Verona

Rigoletto, la storia in 3 atti sfodera la perfidia crudele di chi detiene il potere, un’amara realtà subita dal buffone di corte. La prima di domenica scorsa ha confermato l’eccellente tecnica dell’Orchestra e del Coro di Verona, una simbiosi senza la minima sintassi, solo sinergia solo grandi emozioni.

di Antonella Iozzo

Rigoletto_FotoEnnevi_attoIIIVerona – Rigoletto dalle velature conturbanti Fabrizio Maria Carminati sobrio ed elegante. Al Teatro Filarmonico di Verona torna nell’allestimento del 2011 di Fondazione Arena,  per la regia e il coordinamento costumi di Arnaud Bernard. L’opera verdiana che alla sua pubblicazione portava il titolo di “Triboulet” cambiato successivamente in Rigoletto, a causa di un opprimente censura la quale non permetteva critiche rivolte ai sovrani. Il nome del giullare, troppo evocatore, venne sostituito con Rigoletto e il ruolo del Re con quello di Duca.

La prima di domenica scorsa ha confermato l’eccellente tecnica dell’Orchestra e del Coro di Verona preparato dal maestro Vito Lombardi, una simbiosi senza la minima sintassi, solo sinergia e sviluppo, solo grandi emozioni.

Rigoletto, un titolo di richiamo, un’opera conosciutissima che coinvolge e attrae lasciando spesso entusiasta il pubblico, anche questa volta l’orchestra, il coro e tutto il cast non hanno deluso le aspettative e la seduzione delle arie di richiamo a d iniziare da “La donna è mobile” sono state il trait d’union fra musicisti e platea.

La storia, in 3 atti, sfodera la perfidia crudele di chi detiene il potere, un’amara realtà subita dal buffone di corte, vittima di scherni e di una quotidiana condizione di sottomissione. La sua reazione lo pone per un breve istante dall’altra parte della barricata, tra chi esercita la forza e non la subisce, poi il destino che non si cambia, il proprio percorso che segue il sentiero già segnato, è la propria vita, è “la maledizione” che non si cambia, che non ti cambia.

Nel primo atto, durante una festa è maledetto da un Conte che aveva schernito.  Tornato  dalla figlia Gilda che custodisce con amore paterno, in gran segreto, la induce a prestare attenzione al malvagio mondo che la minaccia. Gilda, fanciulla ingenua e infatuata dal Duca, prende alla leggera i suggerimenti ma poco dopo viene rapita.
Nel secondo atto Rigoletto, frustrato dal rapimento, medita una vendetta contro il Duca, che ha disonorato Gilda per puro divertimento, ma l’amore di Gilda è cieco e la ragazza spera in un perdono. Nel terzo atto Rigoletto prova a vendicarsi incaricando il sicario, Sparafucile, di uccidere il conte. La sorella del sicario innamorata del Duca, riesce a convincere il fratello di risparmiarlo. Egli accetta a patto di uccidere la prima persona che fosse entrata in casa sua. È beffardo il fato, e alla sua porte conduce proprio Gilda, travestita da mendicante e desiderosa fino all’inverosimile di salvare il suo duca. Rigoletto, quando scopre che il sacco contenente il cadavere del Duca in realtà contiene il corpo di sua figlia, si dispera. È profondo il suo sfogo, è abissale il tonfo di un destino che segue ed insegue passo dopo passo le nostre azioni.

Le scene di Alessandro Camera sono imponenti, maestosi, una semi – staticità nei primi due tempi che scandisce lo spazio con un gioco di quinte e di profondità sia per la dimora del duca dove pericolose seduzioni intessono trame suadenti portando sul palcoscenico il lato osé di desideri, mai nascosti, sia per quella di Gilda, da dove poi viene rapita. Nel terzo atto la notte scende sovrana, presagio di vendetta e tradimento sul fondale blu, rafforzato dall’effetto luci. Il fiume, l’imbarcazione e tutti i dettagli dell’ambientazione sono ridefiniti dal carisma dei personaggi e dalla loro presenza scenica.

Michaela Marcu è Gilda, bellezza angelica dai movimenti aggraziati e da una freschezza vocale che rendono credibile l’ingenuità e la timidezza di Gilda. Aderisce al personaggio con una tessitura che dona il giusto appeal espressivo.  Alessandro Scotto di Luzio il Duca di Mantova convince con le buone torniture del fraseggio, brillantezza e finezza del respiro lirico modulate al punto giusto. Stile interpretativo inerente al personaggio, senza mai spingersi nei suoni acuti più del dovuto.

Leo An è Rigoletto,  un buffone meditativo e paterno, scivola in una dolcezza che permea il tessuto espressivo del primo per poi nel secondo atto implodere con i “Cortigiani” soppesato, sentito, percepito fin l’ultimo respiro ed ogni timbro, coloritura è data dal proprio impeto e da una buona abilità tecnica- interpretativa che garantisce la grande tensione drammatica del finale. La commozione è vibrante, scuote l’animo di Rigoletto e di chi ascolta.

Sparafucile è interpretato da Gianluca Breda, sicario verdiano dalla voce cavernosa e vigorosa portata con intelligenza interpretativa.  Clarissa Leonardi nei panni di Maddalena con sinuosità e studiata flessuosità, amplifica le giuste movenze seduttive accentuate da una voce timbricamente gradevole

Degno di nota Alessio Verna nel ruolo del Conte di Monterone, convince la bella vocalità di Tommaso Barea in Marullo. Completano il cast, Romano dal Zovo nel ruolo de Il Conte di Ceprano, Dario Giorgelé nell’Usciere di Corte, Antonello Ceron nel corgiano Matteo Borsa  e Francesca Micarelli nel duplice personaggio della Contessa di Ceprano e Paggio della Duchessa. L’Orchestra e il Coro della Fondazione Arena di Verona sotto la direzione del maestro Carminati hanno celebrato un’altra pagina della storia dell’Arena di Verona. Direzione asciutta, puntuale e tranquilla, esecuzione autorevole e cordiale.

di Antonella Iozzo ©Riproduzione riservata
                  (14/03/2016)

 

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