Strauss e la tensione sublime de La donna senz’ombra al Verbier Festival

Strauss con l’opera in tre atti La donna senz’ombra diretta da Valery Gergiev sul podio della Verbier Festival Orchestra. Un capolavoro scenico che catalizza l’attenzione. Eccellente cast e contrappunto cromatico della partitura reso dalla Verbier Festival Orchestra in maniera impeccabile.

di Antonella Iozzo

Verbier (CH) – Suggestione lirica al Verbier Festival con l’opera in tre atti Die Frau ohne Schatten, La donna senz’ombra, op. 65 di Richard Strauss su Libretto di Hugo von Hofmannsthal.

Un capolavoro scenico che catalizza l’attenzione e per più di quattro ore alla Salle Des Combins, la Verbier Festival Orchestra diretta da Valery Gergiev, insieme ad un eccellente cast, hanno innervato quest’opera così lunga e complessa regalando al pubblico emozioni vive e intense che si fanno ricordare.

Tutto ruota intorno al concept di maternità, intesa come dono piuttosto che come un peso. Mito, mitologia, immaginifico e fantasia s’intrecciano in una leggenda che la partitura rende carica di tensione emotiva.

L’imperatore durante la caccia s’imbatte in una bianca gazzella: la colpisce con un dardo e questa si trasforma in una splendida fanciulla che diviene la sua sposa. L’imperatore trascorre tutte le sue giornate a caccia e tutte le notti a possedere la creatura metà divina metà umana. Questa però, col suo corpo non getta ombra, cioè è infeconda. Il tempo gioca un ruolo fondamentale nel loro destino trascorsi tre giorni se ella non acquisisce la fecondità, l’imperatore verrà pietrificato. La bella fanciulla e la nutrice partono alla ricerca di un’ombra e giungono alla capanna del tintore Barak, dove vivono tre fratelli uno cieco di un occhio, uno storpio, uno gobbo, e la capricciosa moglie di lui, anch’essa senza figli.

L’imperatrice e la nutrice si offrono a lei come schiave col proposito di acquistarne l’ombra e quando Barak è al lavoro, le fanno apparire uno splendido giovane che l’incanta ma la donna non cede.

L’imperatore si trasforma in una statua di pietra. Barak e la moglie si trovano rinchiusi ciascuno in una cella mentre la nutrice è condannata a vagare nel mondo degli uomini. L’imperatrice e la moglie di Barak hanno superato difficili prove interiori che le hanno redente.

L’una ha imparato il sacrificio e la compassione incipit di grande riflessione e crescita interiore, l’altra ha riconosciuto il valore del semplice e vero affetto, quello di Barak. Nasce una nuova era, l’imperatrice getta ombra e l’imperatore ritorna a vivere.  Le due coppie ricongiunte intonano un inno d’amore al quale si unisce il canto dei bambini, non-nati, desiderosi di esistere.

La partitura di Richard Strauss è sorprendente, magnifica, una mirabile genialità che sfiora la tensione del sublime nelle più dirompenti sfaccettature. Uno stile espressionistico intenso, dove la sospensione crea evocazione sottile e perforante, mentre l’uso di pungenti dissonanze, specie da parte degli strumentini, ne amplia il carattere deciso.

L’orchestra è pura massa ritmica, sonora e timbrica. Il piglio deciso e insieme quasi carezzevole del direttore Valery Gergiev sintetizza come meglio non si potrebbe, non solo lo stile ma più profondamente il gesto e l’intento compositivo di Richard Strauss. Acutezza quasi sprezzante che le pungenti dissonanze degli strumentini accompagnano soprattutto i capricci della moglie di Barak, interpretata da Miina-Liisa Värelä, che non è mai contenta della sua vita e minaccia di continuo di abbandonare il tetto coniugale. La sua padronanza tecnica ed interpretativa nei vocalizzi è splendida, con molta sicurezza risponde all’esigenze di una partitura che insiste sulla tessitura acuta, quasi “abitando” la sintesi costruttiva di Richard Strauss.

Il contrappunto cromatico della partitura è reso dalla Verbier Festival Orchestra in maniera impeccabile. I motivi-guida che ritornano di continuo nella partitura sono sempre tesi al massimo livello con un’audacia che ne rafforza la sintassi ritmica e vorticosa.

Equilibrio, trasparenza ed energia insieme ad una tecnica espressiva ed avvincente rendono la direzione di Gergiev poetica fascinazione pervasa da una nervatura che ne sostiene il pathos.

Che ritroviamo nella figura di Barak, interpretato da John Lundgren, un baritono di grande spessore e personalità che rende giustizia al personaggio.

Una partitura, questa, di grande respiro che rimanda allo spirito wagneriano per lo spessore sonoro dell’orchestra e per la complessa elaborazione di numerosi Leitmotive. Ma Richard Strauss scava ancora nel profondo, entra nelle fibre di una musica fortemente evocativa, intima e protesa verso vette inesplorate e la sua scrittura rivela passaggi bitonali, con momenti di sospensione atonale ed un estenuato cromatismo. La Verbier Festival Orchestra e Valery Gergiev ne rilanciano ogni sfumature, ogni cellula sonora, ogni battito.

Sul palcoscenico ogni interprete entra nel proprio ruolo è la vocalità delle protagoniste femminili, sono di eccezionale estensione. Emily Magee l’imperatrice, è dotata di acuti canto lirico e senso drammatico.

Evelyn Herlitzius, è una nutrice di grandissima rilevanza teatrale, che nella dichiarazione furibonda, alla fine del secondo atto, svela la massima potenza in un continuum con l’orchestra. Autentico timbro tenorile quello di Gerhard Siegel, nel ruolo dell’imperatore, pulito, limpido preciso.

Presenza scenica esuberante ed incisiva anche se non soprattutto nell’uso del parlato della scena finale, sublimi poi, i numerosi brani d’insieme a tre, cinque, sei voci, anche con coro, usati da Richard Strauss, per diversificare fonicamente i due mondi: quello terreno con un’orchestra pesante e fortemente timbrica e quello degli dèi e dell’imperatrice, con uno strumentale ridotto e leggero con timbri lucidi e trasparenti dati dalla celesta, arpa e flauto.

Vorticose sensazioni scivolano nell’anima, emozioni che debordano la lucida passione di un attimo che ci tiene irretiti davanti all’imponenza orchestrale fino al grandioso finale in cui tutte le tensioni del racconto si sciolgono in un trasparente inno di felicità.

Tecnica, massima espressività data da volti che imprimono la struggente emozione di un’esperienza estetizzante che continua a vivere in noi come un’aspirazioni di rigenerazione. Luce in fondo agli occhi che illumina e irradia il suono incrinato del sensibile fino ad un lunghissimo appaluso con standing ovation finale.

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di Antonella Iozzo ©Riproduzione riservata
                  (27/07/2019)

 

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