Tutte le anime di Barenboim

Barenboim, tecnica, virtuosismo, sensibilità, rigore. Magnifico pianista, eccellente direttore da Mozart a Čajkovskij in un sol gesto. Esecuzione espressiva e avvincente.
 di Antonella Iozzo

 

Milano – Al Teatro Alla Scala di Milano, giovedì scorso un incontro tra musica e solidarietà con il concerto Straordinario in ricordo di don Carlo Gnocchi in collaborazione con AMI, Associazione Mozart Italia Milano. L’ormai storica esperienza della Filarmonica della Scala coniugata al talento e alla genialità del direttore e pianista Daniel Barenboim, ci hanno regalato la meraviglia di due pagine musicali tanto uniche, quanto diverse per epoca e stile compositivo, il Concerto per pianoforte e orchestra n° 27 in si bemolle maggiore K 595 di Wolfgang Amadeus Mozart e la Sinfonia n° 5 in mi minore, op. 64 di Pëtr Il’ič Čajkovskij.

Le tante anime di Barenboim, si completano nell’interpretazione pianistica e nella direzione del concerto di Mozart: sguardo lucido, suono limpido, tocco raffinato, gesto preciso. Un evolversi continuo e costante che ci avvolge tra le movenze di un concerto vero e proprio e le linee di una creazione cameristica. Brillante fluidità, quindi, e ricercatezza in una scrittura pianistica composta e scorrevole che Barenboim esalta e rinsalda con estrema leggerezza e naturalità.

L’espressività del primo movimento, l’Allegro, ricama le emozioni slittando verso un universo immaginifico, soprattutto durante gli interventi solistici. L’orchestra sembra avanzare lentamente, quasi come una danza sfumando in atmosfera l’eloquio del pianoforte, che disegna un mirabile chiaroscuro. Fascinazione melodica che ci conduce nel secondo tempo, il Larghetto. Il tocco di Barenboim è sublime, cesella l’espansionismo lirico e ne plana la venatura che l’orchestra eleva con grazia. La Filarmonica, infatti, ricrea l’intimità, conducendoci verso orizzonti lontani dove l’inafferrabile è palpabile mistero del presente che vive in noi.

Sottigliezze, allusioni, nostalgie ch si spingono verso il finale, l’Allegro. Il tessuto connettivo del concerto e la sensibilità della scrittura mozartiana riaffiorano continuamente dalla brillantezza e dalla finezza del gesto di Barenboim. L’orchestra come sempre molto attenta alla grande cura dei dettagli rilascia l’incanto di un concerto evocativo dall’inaspettata suggestione timbrica.
Il pubblico è letteralmente rapito e deliziato e continua ad applaudire sia l’orchestra che il maestro Barenboim, tecnica, virtuosismo, sensibilità, calore, rigore dal cuore alla mente la musica comunica la sua inesauribile forza.

Seconda parte completamente dedicata alla Sinfonia n. 5 in mi minore, op. 64di Cajkovskij. Maestosi pensieri che prendono forma nel segno del fato del destino ed eruttano in tutti e quattro i movimenti. L’Andante, affidato ai clarinetti e agli archi gravi, c’immerge in un’aurea cupa e pesante. È una flessuosa curva che si apre in tutta la sua profondità. La direzione di Barenboim coniuga grazia, eleganza ed energia conquistando subito il pubblico attentissimo, quasi in religioso silenzio. L’Allegro con anima mantiene l’atmosfera di sotterranea inquietudine, mentre un ritmo relativamente vivace s’insinua mirabilmente. Tecnicamente perfetti gli ottoni, che con i loro interventi fanno esplodere la tensione, subito smorzata a favore di un nuovo tema semplice e pastorale, che porta un raggio di luce dopo le ombre precedenti.

Esecuzione espressiva e avvincente che si anima vaporosa, prima di sussultare riprendendo il motivo iniziale dell’Allegro, ma la conclusione è ancora dominata del tema del fato, forte e imperante nelle trombe. Con l’ Andante cantabile, ci troviamo praticamente immersi nel sinfonismo cajkovskiano. È poesia tesa verso ombre capaci di evolversi in fiammelle erranti, in empasse emozionale. Sul fondale degli archi gravi, la dolcezza vibrante del primo corno, un dialogo che si apre con l’inserimento dell’oboe melodia ripresa dall’intera orchestra momento maestoso e sereno. In lontananza sempre il fato a rilanciare le sue ombre con la cupezza e la violenza dei tromboni.

Il terzo movimento, Allegro moderato è un valzer dalla tristezza pacata, tipica di Čajkovskij, ma elegante e lieve. Orchestra e direttore, vibrano all’unisono in questa musica ricchissima e fortemente evocativa come appare dall’Allegro vivace, che raggiunge una prorompente e teatrale intensità.

Interpretazione ricchissima di sfumature, intensa e magnetica che ispira Barenboim, la cui pregnanza gestuale scende dentro la materia del suono per estrarre la pura essenza sinfonica. L’Allegro vivace molto enfatico, rivela la tempra e il talento dell’orchestra, mirabile per intonazione, precisione e qualità del suono. Sul finale, la lunga coda in mi maggiore conduce la sinfonia ad una grandiosa conclusione. Semplicemente brivido Čajkovskij, più che una sinfonia un corpo sonoro reso vivo e pulsante , eloquente e suggestivo, carico di effetti timbrici e pulsioni del destino. Bordeline che la musica veste di speranza, Barenboim di verità, la Filarmonica della Scala d’incanto. Tutto in un concerto.

di Antonella Iozzo ©Riproduzione riservata
                (28/06/2014)

 

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