Critica enologica, serietà e realtà

Critica enologica. Consigliare vini è una cosa seria. Il successo delle vendite dei vini nei supermercati di questi ultimi mesi ha riportato alla ribalta l’importanza di supportare i consumatori nelle loro scelte. Ma si tratta di un compito molto più difficile e serio di quanto si possa immaginare.
di Fabio Piccoli 

Critica enologica, serietà e realtàCritica enologica, serietà e realtà. In questi giorni circola su varie fonti del web il parere di una nota, si fa per dire, sommelier italiana, che in un’intervista avrebbe sconsigliato i tanti consumatori delle catene della grande distribuzione, tra le varie cose dette, di non acquistare vini prodotti dalle cantine sociali. Per correttezza di informazione avrebbe specificato “almeno di quelle che non conoscete”. Ha inoltre evidenziato allerta nell’acquisto di vini a Indicazione geografica tipica (Igt) la cui provenienza sarebbe molto vaga.

Non vogliamo soffermarci troppo su quanto affermato dalla sopracitata sommelier, ognuno si assume le responsabilità delle proprie affermazioni, ma questo “aneddoto” ci consente di ritornare ancora una volta su un tema molto serio e complesso: i consigli sui vini da acquistare.

In fin dei conti, la critica enologica avrebbe soprattutto questo compito e il fatto che talvolta sia diventata uno strumento di “pubblicità” più che di “informazione” va annoverato nell’ambito degli “incidenti di percorso”.

Critica enologica, serietà e realtà. Ma non ci interessa nemmeno fare oggi un’analisi critica ai giudizi in generale alle guide del vino e affini. Ci preme, invece, sottolineare che oggi, più che nel passato per certi aspetti, è essenziale garantire giudizi sui vini, sulle aziende, sulle denominazioni che siano autorevoli e rispecchino il più possibile la realtà.

E affinché ciò sia possibile è fondamentale una adeguata competenza che, per esempio, sembra non appartenere alla sopracitata sommelier. Affermare, infatti, oggi, nel 2020 che le cantine sociali non siano in grado di garantire profili qualitativi adeguati è un’affermazione tanto generica, quanto sbagliata. Un vecchio luogo comune ancora, purtroppo, duro a morire che genera solo confusione all’interno di un settore come quello del vino italiano che è già complesso da analizzare vista la sua incredibile eterogeneità.

Ma ancora oggi classificare il nostro sistema produttivo in relazione alle tipologie aziendali (industriali, artigiani, imbottigliatori, cooperatori) è decisamente anacronistico e fuorviante.

Ma è altrettanto scorretto generalizzare sul tema delle denominazioni e ascrivere d’ufficio un valore aggiunto ad un docg e un’insufficienza a prescindere ad una Igt.

Si arriva spesso a queste semplificazioni, un po’ demagogiche e superficiali, quando non si conosce in profondità la nostra filiera vitivinicola e, in particolare, le nostre dinamiche produttive.

E per raggiungere questa conoscenza servono non solo anni ed anni di formazione ma anche una costante esperienza sul campo.

Per giudicare una denominazione, ad esempio, non è certo sufficiente partecipare a qualche evento o degustazione ma è fondamentale seguirne i flussi produttivi per anni; conoscere i protagonisti della sua produzione, con i loro diversi stili e specificità territoriali. Ma è anche necessario conoscere in profondità le scelte dei singoli brand aziendali per capire la loro filosofia produttiva ma anche il loro “credo” commerciale. A questo riguardo è noto da tempo come vi siano aziende autorevoli che hanno scelto di non investire nella loro denominazione e di puntare maggiormente sul loro brand magari scegliendo la via di una Igt se non addirittura di un varietale. Giusto, sbagliato? Non è questo il giudizio che va dato ma è fondamentale conoscere i processi produttivi, le scelte viticole, le strategie enologiche, insomma le ragioni profonde che hanno portato alla caratterizzazione di un prodotto.

Ed è qui che “casca il famoso asino”. Chi pensa di dare giudizi senza conoscenza accreditata e autorevole rischia pericolosi autogol ma anche preoccupanti conseguenze per l’immagine complessiva del nostro vino.

Critica enologica, serietà e realtà. In un momento difficile come questo, ad esempio, dove il canale moderno ha assunto un ruolo ancor più importante nella distribuzione di molti vini italiani, affermare che è meglio non fidarsi dei vini delle cantine sociali o delle Igt, scusateci il francesismo ma lo possiamo annoverare solo nel capitolo delle “bischerate”.

E allora cosa fare? Studiare, studiare e ancora studiare. Per fortuna in Italia abbiamo fior di professionisti, anche giovani che stanno crescendo quotidianamente nella loro conoscenza del settore. Hanno capito che non basta saper maneggiare gli strumenti social ma è fondamentale prima approfondire la conoscenza del settore in tutti i suoi diversi aspetti.

Senza competenza non ci potrà mai essere una critica enologica autorevole e giudizi, consigli utili per i nostri consumatori.

E sarebbe un vero peccato perché mai come oggi sentiamo da parte dei consumatori un autentico desiderio di conoscere meglio i tanti risvolti del nostro amato vino.

E’ un treno importante, fondamentale che non possiamo perdere. Come è giusto pretendere una crescita imprenditoriale e manageriale da parte delle nostre aziende del vino è altrettanto sacrosanto auspicare una evoluzione del livello di professionalità di tutti coloro che operano sul fronte della comunicazione e informazione vitienologica.

Non possiamo più permetterci superficialità, pregiudizi ideologici o, peggio ancora, ignoranza da parte di chi ha responsabilità nei confronti della comunicazione ai nostri consumatori. (  https://www.winemeridian.com/ )

 

 di Fabio Piccoli
   (13/06/2020)

 

 

 

 

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