Tugan Sokhiev, Il canto della terra

Tugan Sokhiev, Il canto della terra, al Parco della Musica, Sala Santa Cecilia. Haydn e Mahler, direzione magistrale, alta scuola e classe. Il secondo movimento è uno di quei meravigliosi Andante di Haydn, quando la stupenda cantabilità si snoda pura ed elegante.   
di Mauro Mariani 

Tugan Sokhiev, Il canto della terraRoma, Parco della Musica, Sala Santa Cecilia, Tugan Sokhiev, Il canto della terra.
Nel 2022, dopo alcuni anni d’assenza e poco dopo essersi dimesso dal Teatro Bolshoi di Mosca per protesta contro l’invasione dell’Ucraina, era tornato all’Accademia di Santa Cecilia riscuotendo grande successo con un programma esclusivamente russo. Ora il quarantacinquenne Tugan Sokhiev, formatosi alla leggendaria scuola sanpietroburghese di Ilya Musin, ha dimostrato la stessa eccellente sintonia anche con la musica mitteleuropea, dirigendo due autori che costituiscono l’alfa (Haydn) e l’omega (Mahler) della grande scuola sinfonica austro-tedesca.

Haydn è tra gli autori preferiti per i saggi di direzione d’orchestra dei conservatori, ma non è affatto facile, anzi esige un direttore esperto, che sappia usare sottilmente la testa e la bacchetta per illuminare una musica così geniale e ricca di sorprese. Sokhiev ha scelto la Sinfonia n. 104 in re maggiore “London”, composta a Londra, come tutte le ultime sinfonie di Haydn. Oggi è difficile immaginare l’effetto che una sinfonia come questa possa aver avuto sul pubblico dell’epoca. Gli ascoltatori del 1795 già ai primi accordi devono essere rimasti stupefatti dalla sonorità grandiosa, perfino violenta, sprigionata da quest’orchestra di una quarantina di elementi (il massimo allora concepibile) in una sala capace di poche centinaia di posti. L’attuale consapevolezza filologica ha trattenuto Sokhiev – che ha usato un organico uguale o appena superiore a quello a disposizione Haydn, ma in una sala quasi dieci volte più grande – dal dare allo splendido Adagio introduttivo la cupa e fremente drammaticità beethoveniana (che personalmente non ritengo affatto fuori luogo) che si ascolta in alcune incisioni storiche (pensiamo a quella attribuita a Furtwängler, forse erroneamente, ma comunque bellissima). Piuttosto Sokhiev ha riconosciuto nei possenti accordi iniziali qualcosa della grandiosità regale dell’ouverture francese del primo Settecento. Ma nell’Allegro seguente ha scatenato tutta l’energia di Haydn: dove per energia si intendono proprio le dinamiche orchestrali ma anche e soprattutto la prorompente forza delle idee con cui Haydn ricava trasformazioni e svolte sorprendenti da un unico e semplice tema.

Il secondo movimento è uno di quei meravigliosi Andante di Haydn, quando la stupenda cantabilità si snoda pura ed elegante, in una luce appena lievemente crepuscolare, non contaminata da implicazioni sentimentali. La forma del movimento è una geniale intersezione di variazioni e di canzone, perché le variazioni della prima parte sono simili tra loro e imperturbabilmente serene, in contrasto con quelle della seconda parte, che introducono toni più mossi e drammatici, finché una breve e sorprendente transizione del fagotto riporta al tono della prima parte, ora però attraversata da squarci in cui lampeggiano la forza e la drammaticità della sezione centrale. E il pianissimo dei due corni che conclude il movimento anticipa quell’aura campestre che questi strumenti porteranno nella Pastorale di Beethoven e nel Franco cacciatore di Weber.

Il Menuet ha già la densità e l’energia prive di fronzoli del futuro Scherzo. Il finale Spiritoso  ha una struttura solidissima, basata su un unico tema di probabile origine popolare, ma proprio questa semplicissima base consente a Haydn continue sorprese, cambi di direzione, sbalzi d’umore, saporiti dialoghi tra le diverse sezione dell’orchestra.

Tutto ciò è risaltato meravigliosamente grazie al gesto limpido ed evidente di Sokhiev, che guida l’orchestra a non trascurare un solo minimo dettaglio e fa brillare tutta la pura gioia che questa musica regala all’orecchio e all’intelletto dell’ascoltatore. Da parte sua l’orchestra ha suonato perfettamente, sebbene in genere dia il meglio di sé non in Haydn o Mozart ma in musiche dall’orchestrazione più complessa, in cui può sfogare la sua potenza e la sua ricchezza di colori: per esempio, Mahler.

Proprio a Mahler era dedicata la seconda parte del concerto e precisamente a Das Lied von der Erde. Le proporzioni e la complessità di questo capolavoro postumo non permettono nemmeno di tentare una breve descrizione delle sue sei parti, come abbiamo provato di fare per Haydn. Inizia con un Lied che è l’esaltazione appassionata della vita e delle sue gioie effimere – il canto e il vino – prima che sopraggiunga la morte, che in queste antiche poesie cinesi, felicemente ignare del cristianesimo, non è un atroce dilemma tra salvezza o dannazione eterne, ma è il nulla. Passando per la descrizione della natura – una perfetta miniatura dai contorni nitidi e dai colori luminosi come una porcellana dipinta – e per la bellezza della giovinezza – rappresentata dalle fanciulle che colgono fiori, dai giovani che cavalcano fieri cavalli e dalla luce dorata del sole – si giunge all’ Addio, una partenza per un lungo viaggio che è una chiara metafora della morte.

Il tenore solista era l’americano Russell Thomas: il suo repertorio si basa su Verdi e Puccini, ma è riuscito a reggere l’onda d’urto wagneriana del primo Lied, seppure sacrificando qualche sfumatura espressiva, mentre è stato perfetto nell’ammaliante edonismo del Lied “La Giovinezza”. Il contralto britannico Alice Coote non ha una voce che conquista al primo ascolto, ma battuta dopo battuta riesce a costruire la forza espressiva di questa musica.

Sokhiev ha diretto magistralmente anche Mahler, dimostrando la sua alta scuola e la sua classe nel riuscire a far sembrare leggera, trasparente, eterea e immateriale l’orchestrazione di quest’ultima meditazione mahleriana, anche quando ha la pienezza e il turgore delle smisurate orchestre del primo Novecento. Tuttavia, particolarmente nel vasto finale, non ha colto fino in fondo la poesia di questo addio al mondo, sereno e tragico allo stesso tempo. Il pubblico non era evidentemente d’accordo con questa mia piccola riserva e gli applausi sono stati entusiastici e prolungati.  (  https://www.giornaledellamusica.it/  )

 

di Mauro Mariani
 (14/04/2023)

 

 

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