Boris Goudenow, commedia politica al Festival di Innsbruck

Boris Goudenow di Johann Mattheson una commedia politica emozionante e affascinante, quasi incastri da thriller poliziesco, un’opera “top secret” per quasi 300 anni. Ora in scena nell’ambito del programma Young Baroque Opera dell’Innsbrucker Festwochen der Alten Musik 2021.

di Antonella Iozzo

Innsbruck (Austria) – Al Festival di Innsbruck cultura e politica intrecciano una trama profonda e complessa dai risvolti teatrali ed eclettici con l’opera in tre atti “Boris Goudenow”, scritta e composta da Johann Mattheson ed andata in scena nella Kammerspiele dell’Haus der Musik Innsbruck, premiere il 19 agosto scorso. Scritta nel 1710 per l’Opera di Amburgo nella piazza Gänsemarkt, l’opera fu improvvisamente ritirata dal compositore e solo nel 2005, sempre ad Amburgo, ha avuto luogo la prima.

Intrighi e passioni, potere e seduzione, tematiche dal tono contemporaneo ripercorrono le pagine dell’opera la cui lettura può indurci a pensare alla Russia e agli avvenimenti su scala mondiale che stiamo attraversano.

La nuova produzione di Innsbruck, nell’ambito del programma Young Baroque Opera, porta in scena i finalisti e i vincitori del concorso internazionale di canto per l’opera barocca Pietro Antonio Cesti, organizzato dal 2010 dal Festival, sotto la direzione musicale del famoso clavicembalista e direttore d’orchestra italiano Andrea Marchiol e diretti dal regista inglese Jean Renshaw.

Se la storia racconta che Boris Godunov diventa Zar di tutte le Russie dopo l’uccisione, avvenuta in circostanze misteriose, dell’erede legittimo al trono, lo Zarevic Dmitrij Ivanovič, figlio di Ivan il Terribile, ed aver di fatto esercitato il potere durante il regno di Fëdor I, la costruzione drammatica di Mattheson, rimescola le carte, reinterpreta e porta avanti il nudo pensiero di un’arcaica concezione che vede il trono e le donne come l’inizio di una lotta estenuante. Alchimie di amori e desideri di assoluto potere compongono e scompongono le prerogative di tre coppie si ritrovano dopo che il tumulto emotivo e il sentimento d’onore fanno intravedere a Boris Goudenow una via libera per il trono dello Zar. Allora tutto è lecito, perché il fine giustifica il mezzo per lui rappresentato da sua figlia Axinia. Intrecci a volte poco comprensibili anche per il continuo alternarsi tra tedesco e italiano.

La scenografia è semplice, essenziale un lungo tavolo da conferenza al centro del palco che si trasforma in passarella per coinvolgimenti erotici o in un palco dal quale dettare strategie politiche da imporre.

 

Zar e vodka cliché nazionali di una Russia mai dimenticata, bui profondi che squarciano l’anima ed emergono in pellicce che tutti indossano al calar del barometro, e poi la neve, vaporosa, quasi a creare una coltre emotiva, una sensazione di leggera stasi nel perimetro del potere che fomenta, che manca, che annienta e s’insinua nel ventre dell’amore. È una performance di dubbio gusto capace di ostentare potere e attrazione fashion nella declinazione personale del concetto di attrazione con i costumi di Anna Ignatieva che fa indossare a uno dei corteggiatori pantaloni di pelle e scarpe da ginnastica dorate.

Ma su tutto è la musica a predominare, l’Ensemble Concerto Theresia è pulsante, evocativa, è pura energia che cesella, deborda, intreccia dialogo con vibrante ed esilarante precisione. Finemente puntuale nel gesto Andrea Marchiol riesce ad estrarre tante varietà d’espressione con una grande professionalità e conoscenza della musica barocca.

Una trama sottile che diventa mosaico d’emozioni e di contrasti quando Mattheson invoca il potere dell’amore, e durante la scena in cui figli, sorelle e amanti saltellano intorno allo Zar malato terminale.

Il soprano Flore van Meerssche nel ruolo di Irina, moglie dello zar, cerca di dare respiro lirico alle proprie pulsioni. Passaggi penetranti ed eloquenti per il soprano Julie Goussot in Axinia e buona scansione del ritmo drammatico per il mezzo soprano Alice Lackner in Olga, ma con poca forza passionale.  I tenori Eric Price, (Josennah) e Joan Folqué (Gavust) nella loro linearità professionale e fedeli al loro ruolo non entusiasmano ma neanche deludano. Il basso Yevhen Rakhmanin nel ruolo dello zar disegna il suo ruolo con notevole impegno e coinvolgimento.

 

Il peso drammatico, l’espressività intensa e lacerante, il pathos di una complessità che scorge e smuova la tensione interiore, l’inquietudine, il desiderio, il potere che brucia nell’anima spetta ai due bassi Olivier Gourdy ovvero Boris Goudenow e Sreten Manojlović in Fedro. Quest’ultimo quando conquista la vedova del moribondo e sorella del nuovo zar, mostra forza e aderenza al personaggio. Profondità coinvolgente e agilità che ritroviamo con incisività e possente determinazioni in Oliver Gourdy che interpreta il ruolo di Boris quasi con eloquenza machiavellica.

Leggende, vicende e consapevole verità di un vissuto contemporaneo che divengono esilarante spettacolo quando il servo Bogda (Sebastian Songin) conquista il pubblico con un assolo di danza dal grande pregio, un’elegia del Lago dei cigni, che suggella il fondale russo di un opera estremamente moderna.

Boris Goudenow di Johann Mattheson una commedia politica emozionante e affascinante nella sua sequenza solo in apparenza confusa, quasi incastri da thriller poliziesco, un’opera “top secret” per quasi 300 anni, fino alla fine del XX secolo quando è stata rintracciata in Armenia e tornata ad Amburgo per debuttare nel 2005.

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di Antonella Iozzo ©Riproduzione riservata
                  (25/08/2021)

 

Foto by Birgit Gufler 

 

 

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