Verbier Festival, la direzione musicale è ispirata e accuratissima, il continuo dialogo tra Takács-Nagy e la Verbier Festival Chamber assecondano le nuance del suono e … della pioggia che riprende con assoluta nonchalance. Con ammirevole fluidità virtuosistica András Schiff sfiora i tasti del pianoforte, la musica prende forma.
di Antonella Iozzo
Verbier (CH) – Al Verbier Festival la musica indossa i colori e gli umori della natura e lo spettacolo entra in scena portando con se variazioni su tema non previsti ma senza dubbio d’effetto.
Sotto un cielo plumbeo il crepuscolo sembra presagire scroscianti effetti sonori per il concerto che verrà. Platea e palcoscenico assistono ad interpretazione fuori programma, è l’immenso che ci regala la sua teatralità dal ritmo serrato, per un forte iniziale al quale segue un fortissimo con tuoni in sottofondo, e uno scherzo vivace finale che induce la Verbier Festival Chamber Orchestra e il direttore Gábor Takács-Nagy ad interrompere la brillante esecuzione della Sinfonia n. 94 in Sol M di Joseph Haydn. Il garbo e la simpatia di Takács-Nagy, svettano in gesti decisi che veicolano tutto il carisma della sinfonia, poi, d’improvviso una pausa forzata e tutta la comprensione del pubblico. Si riprende quando fulmini e saette sembrano aver lasciato Verbier, almeno in apparenza, e dopo l’Adagio cantabile introduttivo, dove il lirismo svettava verso la finezza dell’interpretazione, si riprende con il Vivace assai dal carattere danzante.
La direzione musicale è ispirata e accuratissima, il continuo dialogo tra direttore e orchestra assecondano le nuance del suono e … della pioggia che riprende con assoluta nonchalance. Il secondo tempo è un tema con variazioni dai timbri cromatici resi in modo fervido e fiammeggiante. Con Takács-Nagy si ha sempre l’impressione di scorgere una nuova sfumatura dal Minuetto al Finale, in forma sonata, dinamicamente scattante e impreziosito da quelle pause improvvise e quelle false riprese che firmano il carattere haydniano.
I tempi della serata si dilatano ma l’atmosfera è densa e carica di attesa per András Schiff che esegue il Concerto per piano e orchestra n.3 di Béla Bartók. Con ammirevole fluidità virtuosistica András Schiff sfiora i tasti del pianoforte, la musica prende forma, l’emozione si anima di delicata sospensione temporale. Una quieta pulsazione dei timpani, un brusio degli archi e il pianoforte rapido, preciso, nervoso. È un gioco ritmico tra orchestra e pianoforte che si sviluppa armoniosamente e magistralmente fino al secondo tema che conclude gioiosamente l’Allegretto sotto un fulmineo sberleffo del flauto. Takács-Nagy e Schiff all’unisono vibrano e proseguono. Gli archi, sostenuti dal clarinetto sembrano cantare con grande respiro, la risposta del pianoforte è solenne, ferma, un lento solenne che avanza intriso di pace fino agli scintilli di un crescendo che poi si estingue all’improvviso. Ma sono i legni a riprendere il corale in modo maestoso, seguendo l’ampio gesto del direttore che flette l’aria, abbraccia la sezione orchestrale e rinsalda l’atmosfera volgendosi al pianoforte per poi ritornare a tutta l’orchestra. L’Allegro vivace nella forma del Rondò, conclude con grande eccitazione ritmica, che ci conduce nell’intervento solistico dei timpani. È una scattante gioiosità perfettamente in tema con le bizzarrie del meteo.
Ludwig van Beethoven protagonista assoluto della seconda parte del concerto con la sinfonia n.6 Pastorale articolata in cinque movimenti. La prima parte è formata dai due movimenti iniziali, l’arrivo in campagna e la scena al ruscello, la seconda invece è composta da tre movimenti che configurano nel loro insieme un percorso narrativo unico. È il più importante, esempio di “musica a programma” presente nell’opera beethoveniana, vi sono ruscelli mormoranti, temporali, canti di uccelli …Walt Disney la utilizzò in parte, nel suo “Fantasia” per accompagnare le evoluzioni di cavalli alati, ninfe e centauri in un Olimpo gioioso.
Nell’interpretazione della Verbier Festival Chamber Orchestra colpisce il tono elegiaco della pagina iniziale, il timbro degli archi e la nitidezza scivolano in atmosfera e intimità. Poi, è il vento quasi a ricimare il reale che intorno a noi si eleva in scrosciante pioggia ad attrarre l’attenzione grazie a quelle folate di archi incredibilmente descrittive. E la schiarita luminosa si eleva nel braccio del direttore, nel suo sorriso, nella sua espressività corporea che comunica, che crea empatia comunicativa con gli orchestrali. Impasse emozionale che giunge fino a noi, non è una tempesta ma il preludio alla gioia dopo la tempesta. Serena speranza che caratterizza il finale, la musica sale verso l’inesprimibile lasciandoci senza fiato, il tempo è sospeso, la pioggia è sospesa nell’aria, Beethoveen ancora una volta suggella l’idillio tra l’anima e il mistero della natura.
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di Antonella Iozzo ©Riproduzione riservata
(27/07/2015)
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